Oggi Matera viene celebrata da tutti i siti di viaggio come una destinazione imperdibile in un viaggio nel sud Italia: ci è andato James Bond nel suo ultimo film (vedi in fondo all’articolo) e grazie ai suoi “sassi” Matera è stata inserita nella lista Unesco dei patrimoni dell’umanità. E difatti merita il viaggio, anche io lo consiglio.
Ma quello che pochi siti raccontano, e che invece secondo me è necessario sapere per poter capire davvero cosa poi avremo davanti agli occhi quando saremo sul posto, è com’era davvero la vita a Matera alcuni decenni fa. E questo lo possiamo capire in due modi: guardando qualche vecchio documentario della Rai e leggendo le testimonianze che possiamo trovare in alcuni libri scritti nel nostro recente passato.
Tra i documentari segnalo in particolare “Ritratti di città: Matera” disponibile in streaming sul sito di Rai Teche:
E’ un documentario del 1968 molto ben fatto, che racconta la storia della città e soprattutto le drammatiche condizioni di vita prima del risanamento dei “Sassi” decisa con la legge speciale del 17 maggio 1952, avvenuta dopo la visita di Alcide de Gasperi nel 1951. Interessanti le testimonianze dei contadini della zona sulla vita precedente la bonifica (nella zona qui c’era la malaria, come racconta bene il libro di Carlo Levi citato di seguito).
Un altro documentario Rai interessante è “Matera, il destino capovolto“, che puoi trovare incorporato nel sito del comune di Matera.
Per me un’altra testimonianza molto impressionante è stato un passo del famoso “Cristo si è fermato ad Eboli” di Carlo Levi: la storia in realtà è tutta incentrata sull’esilio del protagonista in due vicini paesi della Lucania (Grassano e Aliano), ma ad un certo punto la sorella viene a trovarlo da Torino e per arrivare deve passare da Matera, dove si ferma qualche ora dovendo aspettare la partenza dell’unica corriera per il paese dove si trova il fratello.
Questo il racconto della sorella:
“Arrivai a Matera, – mi raccontò, – verso le undici del mattino. Avevo letto nella guida che è una città pittoresca, che merita di essere visitata, che c’è un museo di arte antica e delle curiose abitazioni trogloditiche. Ma quando uscii dalla stazione, un edificio moderno e piuttosto lussuoso, e mi guardai attorno, cercai invano con gli occhi la città. La città non c’era. Ero su una specie di altopiano deserto, circondato da monticciuoli brulli, spelacchiati, di terra grigiastra seminata di pietrame. In questo deserto sorgevano, sparsi qua e là, otto o dieci grandi palazzi di marmo, come quelli che si costruiscono ora a Roma, ľarchitettura di Piacentini, con portali, architravi suntuosi, solenni scritte latine e colonne lucenti al sole. Alcuni di essi non erano finiti e parevano abbandonati, paradossali e mostruosi in quella natura disperata. Uno squallido quartiere di casette da impiegati, costruite in fretta e già in preda al decadimento e alla sporcizia, collegava i palazzi e chiudeva, da quel lato, l’orizzonte. Sembrava l’ambizioso progetto di una città coloniale, improvvisato a caso, e interrotto sul principio per qualche pestilenza, o piuttosto lo scenario di cattivo gusto di un teatro all’aperto per una tragedia dannunziana. Questi enormi palazzi imperiali e novecenteschi erano la Questura, la Prefettura, le Poste, il Municipio, la Caserma dei Carabinieri, il Fascio, la Sede delle Corporazioni, l’Opera Balilla, e cosí via. Ma dov’era la città? Matera non si vedeva.”
La città vera, i tanto celebrati “sassi di Matera”, dal centro non si vedevano. Prima di continuare ricordiamo che proprio quelle vecchie abitazioni scavate nella roccia sono la maggiore attrazione della rinata Matera di oggi. Così ad esempio li esalta il sito italia.it (il sito ufficiale della nostra agenzia nazionale per il turismo) “Nel 1993 l’Unesco ha inserito i “Sassi” di Matera nella world heritage list, in quanto “esempio di sistema di vita millenario da preservare e tramandare ai posteri”. Più precisamente il riconoscimento fatto alla città è quello di essere “un modello di vita in equilibrio con l’ambiente, con cui si integra senza stravolgerlo, pur sfruttandone le risorse”. Detto così suona molto bello e interessante.
Però la realtà era molto diversa, molto più tragica di queste belle parole edulcorate di oggi. Vediamo come prosegue il racconto della sorella di Carlo quando dopo pranzo riesce finalmente a trovare la città vecchia:
“E mi misi finalmente a cercare la città. Allontanatami ancora un poco dalla stazione, arrivai a una strada, che da un solo lato era fiancheggiata da vecchie case, e dall’altro costeggiava un precipizio. In quel precipizio è Matera. Ma di lassú dov’ero io non se ne vedeva quasi nulla, per l’eccessiva ripidezza della costa, che scendeva quasi a picco. Vedevo soltanto, affacciandomi, delle terrazze e dei sentieri, che coprivano all’occhio le case sottostanti. Di faccia c’era un monte pelato e brullo, di un brutto colore grigiastro, senza segno di coltivazione, né un solo albero: soltanto terra e pietre battute dal sole. In fondo scorreva un torrentaccio, la Gravina, con poca acqua sporca e impaludata fra i sassi del greto. Il fiume e il monte avevano un’aria cupa e cattiva, che faceva stringere il cuore. La forma di quel burrone era strana; come quella di due mezzi imbuti affiancati, separati da un piccolo sperone e riuniti in basso in un apice comune, dove si vedeva, di lassú, una chiesa bianca, Santa Maria de Idris, che pareva ficcata nella terra. Questi coni rovesciati, questi imbuti, si chiamano Sassi: Sasso Caveoso e Sasso Barisano. Hanno la forma con cui, a scuola, immaginavamo l’inferno di Dante. E cominciai anch’io a scendere per una specie di mulattiera, di girone in girone, verso il fondo. La stradetta, strettissima, che scendeva serpeggiando, passava sui tetti delle case, se cosí quelle si possono chiamare. Sono grotte scavate nella parete di argilla indurita del burrone: ognuna di esse ha sul davanti una facciata; alcune sono anche belle, con qualche modesto ornato settecentesco. Queste facciate finte, per l’inclinazione della costiera, sorgono in basso a filo del monte, e in alto sporgono un poco: in quello stretto spazio tra le facciate e il declivio passano le strade, e sono insieme pavimenti per chi esce dalle abitazioni di sopra e tetti per quelle di sotto. Le porte erano aperte per il caldo. Io guardavo passando, e vedevo l’interno delle grotte, che non prendono altra luce e aria se non dalla porta. Alcune non hanno neppure quella: si entra dall’alto, attraverso botole e scalette. Dentro quei buchi neri, dalle pareti di terra, vedevo i letti, le misere suppellettili, i cenci stesi. Sul pavimento stavano sdraiati i cani, le pecore, le capre, i maiali. Ogni famiglia ha, in genere, una sola di quelle grotte per tutta abitazione e ci dormono tutti insieme, uomini, donne, bambini e bestie. Cosí vivono ventimila persone. Di bambini ce n’era un’infinità. In quel caldo, in mezzo alle mosche, nella polvere, spuntavano da tutte le parti, nudi del tutto o coperti di stracci. Io non ho mai visto una tale immagine di miseria: eppure sono abituata, è il mio mestiere, a vedere ogni giorno diecine di bambini poveri, malati e maltenuti. Ma uno spettacolo come quello di ieri non l’avevo mai neppure immaginato. Ho visto dei bambini seduti sull’uscio delle case, nella sporcizia, al sole che scottava, con gli occhi semichiusi e le palpebre rosse e gonfie; e le mosche gli si posavano sugli occhi, e quelli stavano immobili, e non le scacciavano neppure con le mani. Sí, le mosche gli passeggiavano sugli occhi, e quelli pareva non le sentissero. Era il tracoma. Sapevo che ce n’era, quaggiú: ma vederlo cosí, nel sudiciume e nella miseria, è un’altra cosa. Altri bambini incontravo, coi visini grinzosi come dei vecchi, e scheletriti per la fame; i capelli pieni di pidocchi e di croste. Ma la maggior parte avevano delle grandi pance gonfie, enormi, e la faccia gialla e patita per la malaria. Le donne, che mi vedevano guardare per le porte, m’invitavano a entrare: e ho visto, in quelle grotte scure e puzzolenti, dei bambini sdraiati in terra, sotto delle coperte a brandelli, che battevano i denti dalla febbre. Altri si trascinavano a stento, ridotti pelle e ossa dalla dissenteria. Ne ho visti anche di quelli con le faccine di cera, che mi parevano malati di qualcosa di ancor peggio che la malaria, forse qualche malattia tropicale, forse il Kala Azar, la febbre nera. Le donne, magre, con dei lattanti denutriti e sporchi attaccati a dei seni vizzi, mi salutavano gentili e sconsolate: a me pareva, in quel sole accecante, di esser capitata in mezzo a una città colpita dalla peste. Continuavo a scendere verso il fondo del pozzo, verso la chiesa, e una gran folla di bambini mi seguiva, a pochi passi di distanza, e andava a mano a mano crescendo. Gridavano qualcosa, ma io non riuscivo a capire quello che dicessero in quel loro dialetto incomprensibile. Continuavo a scendere, e quelli mi inseguivano e non cessavano di chiamarmi. Pensai che volessero l’elemosina e mi fermai: e allora soltanto distinsi le parole che quelli gridavano ormai in coro: «Signorina, dammi ’u chiní! Signorina, dammi il chinino!» Distribuii quel po’ di spiccioli che avevo, perché si comprassero delle caramelle: ma non era questo che volevano, e continuavano, tristi e insistenti, a chiedere il chinino. Eravamo intanto arrivati al fondo della buca, a Santa Maria de Idris, che è una bella chiesetta barocca, e alzando gli occhi vidi finalmente apparire, come un muro obliquo, tutta Matera. Di lí sembra quasi una città vera. Le facciate di tutte le grotte, che sembrano case, bianche e allineate, pareva mi guardassero, coi buchi delle porte, come neri occhi. È davvero una città bellissima, pittoresca e impressionante. C’è anche un bel museo, con dei vasi greci figurati, e delle statuette e delle monete antiche, trovate nei dintorni. Mentre lo visitavo, i bambini erano ancora là fuori al sole, e aspettavano che io portassi il chinino.”
Questo è un racconto vero.
Direi che non c’è molto da aggiungere.
Solo consigliare la lettura di Cristo si è fermato ad Eboli:
E’ un libro duro come un pugno allo stomaco, ma va letto. Non perché sia famoso o raccomandato dalla critica, ma perché racconta in modo eccellente com’era davvero la vita dei contadini del meridione prima della seconda guerra mondiale.
“Eboli – dicono i lucani tra cui Levi fu mandato al confino dal fascismo – e l’ultimo paese di cristiani. Cristiano è uguale a uomo. Nei paesi successivi, i nostri, non si vive da cristiani, ma da animali“.
N.B. Eboli è un paese vicino alla costa a sud di Salerno, all’imbocco della strada che porta verso l’interno della Lucania (vedi sulla mappa).
Certo oggi la realtà è diversa, internet e smartphone sono arrivati anche a Grassano e Aliano, ma a mio avviso è importante capire davvero com’era la vita lì qualche decennio fa, perché quelle colline brulle e desolate dimenticate da tutti erano e sono e saranno comunque parte dell’Italia, e finché noi cittadini borghesi delle grandi città del nord (io come romano lì ero visto come “uomo del nord”) non accettiamo di confrontarci con queste realtà, con queste storie vere, non riusciremo mai a capire e risolvere la “questione meridionale”.
Dopo aver letto e visto com’era Matera nel recente passato è quasi difficile credere che in pochi decenni si sia trasformata in una destinazione talmente cool da essere scelta come location dell’ultimo film di James Bond:
Quanti di quelli che hanno visto il film e si son detti “ci voglio andare anche io dove è stato James Bond” sanno davvero com’erano quei posti pochi decenni fa?
Vedi anche:
tutte le location di tutti i 25 film di James Bond
mappa dei siti Unesco italiani
Photocredit immagine di copertina: turkish414